L'art. 255 c.p.p. dispone che "L'autorità giudiziaria può procedere al sequestro presso banche di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa, anche se contenuti in cassette di sicurezza, quando abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all'imputato o non siano iscritti al suo nome".
La norma in questione consente il sequestro probatorio di qualsiasi documento che si trovi presso l'istituto di credito e non soltanto di quelli di proprietà del cliente.
L'oggetto del sequestro presso banche
Oggetto del sequestro presso banche possono essere documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e ogni altra cosa, anche contenuta in cassette di sicurezza, purché si abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato.Sul punto si è osservato che, attraverso il riferimento all'esistenza di un «fondato motivo», diversamente da quanto avviene per il sequestro presso gli uffici postali e telegrafici, si torna a pretendere l'esistenza di un nesso pertinenziale, e dunque tipico, che caratterizzi la relazione della cosa con il reato (MONTONE, voce Sequestro penale, in Dig. d. pen., vol. XIII, Utet, 1997, 258).
Non essendo necessario, per espressa previsione normativa, che le cose appartnengano all'imputato o siano iscritte al suo nome, è consentito il sequestro anche di cose di proprietà della banca e di terzi, purché vi sia una relazione qualificata tra la res e il reato.
Inoltre, la possibilità che il sequestro abbia ad oggetto cose non appartenenti all'imputato o non iscritte a suo nome esclude che il provvedimento che lo dispone debba essere preceduto dall'informazione di garanzia a coloro ai quali risultano appartenere le cose sottoposte a sequetro (Cass., Sez. I, 7 luglio 1992, n. 3272).
Le modalità esecutive del sequestro presso banche
L'operazione del sequestro presso banche, contrariamente a quanto avveniva sotto il vigore del previgente impianto codicistico, può essere delegata dal magistrato alla polizia giudiziaria.L'ufficiale di poliza giudiziara delegato per l'esecuzione del sequestro può, a sua volta, subdelegare ad altro ufficiale l'attività.
Invero, l' art. 253 cod. proc. pen., comma 3 , nel consentire al giudice la facoltà di delegare un ufficiale di polizia giudiziaria per la esecuzione del sequestro, non ha inteso stabilire un rapporto fiduciario caratterizzato da una valutazione ad personam di capacità o di affidabilità del singolo ufficiale; ha, invece, soltanto voluto consentire al magistrato di non eseguire personalmente il sequestro delegando un ufficiale della polizia giudiziaria che è istituzionalmente destinata a svolgere la propria attività "alle dipendenze e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria". Con la conseguenza che è valida la delega con facoltà di subdelega, purchè l'ufficiale obbligato deleghi, a sua volta, altro ufficiale di polizia giudiziaria (Cass. n. 3572/1993, Rv. 192935, Faccio; n. 3556/1993, Rv. 193624, Zoccatelli).
La Suprema Corte ha, altresì, precisato che per la legittimità della perquisizione e del sequestro non c'è neppure bisogno della formale delega scritta da parte del magistrato, potendo la delega risultare anche per facta concludentia (Cass. n. 41629/2009, Rv. 245016, Anello; Cass. N. 48627/2003, Rv. 227792, Mennillo), principio che va logicamente esteso anche alla subdelega.
Laddove la banca rifiuti di cooperare, è possibile, attraverso un intervento del magistrato, dare luogo alla perquisizione «sanzionatoria» disciplinata dall'art. 248 c.p.p.La giurisprudenza di legittimità ha precisato che rientra nel campo applicativo della norma in parola il decreto con il quale il P.m. richiede ad una banca la consegna di documentazione relativa a libretti al portatore ed a rapporti bancari connessi nonché la disposta estrazione di copie autentiche da detta documentazione con restituzione degli originali. Tali atti non possono essere considerati provvedimenti abnormi (Cass., sez. VI, 14 luglio 1995, n. 3090/95, Berlusconi, Cass. pen. 1996, 2328).
Il cosiddetto «blocco» di cassette di sicurezza ad opera della banca
Si tratta di situazioni in cui, per la carenza dei presupposti per poter adottare in maniera indiscriminata un sequestro ad ampio spettro o per ragioni di mera opportunità, si utilizzano questi provvedimenti atipici da inquadrare nei mezzi di ricerca della prova di cui si nega il carattere della tassatività in base ai principi desumibili dagli artt. 55, 248 secondo comma e 255 c.p.p. (Cfr., Cass., sez. IV - 09/03/2005, n. 20854).
Sul piano operativo, nonostante diverse varianti, il cosidetto «blocco» di cassette di sicurezza è contraddistinto da un divieto imposto alla banca di far accedere temporaneamente a detta cassetta personale privato ed ad indicare ed identificare i vari soggetti che vi si recano.
Nella giurisprudenza della Suprema Corte è stato affermato che il cosiddetto «blocco» di cassette di sicurezza ad opera della banca, su invito del giudice o del p.m., benché non espressamente disciplinato dal legislatore, non deve ritenersi un atipico provvedimento di sequestro, qualora abbia solo finalità conoscitive e non ablative e sia finalizzato ad una verifica del contenuto in collaborazione della banca e del cliente, possessori delle chiavi (Cass., sez. IV - 09/03/2005, n. 20854. Nella specie la Corte ha escluso che nella richiesta del p.m. fossero rinvenibili le caratteristiche proprie del cosidetto «blocco» delle cassette di sicurezza e ha qualificato il provvedimento quale vera e propria perquisizione seguita da un sequestro, in quanto vi era una esplicita finalità ablativa e, inoltre, mancava un ordine di esibizione, né vi era stata alcuna forma di collaborazione dell'interessato).