Il reato di indebita compensazione è disciplinato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, introdotto dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 7, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.
L'art. 10 quater è stato in parte riscritto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 9, essendo la fattispecie attualmente strutturata in questi termini:
Prima di passare ad esaminare il tema dell'elemento soggetivo del reato in argomento, occore, al fine di favorire una migliore comprensione, premettere qualche cenno sulla ratio della norma.
La ratio della norma è quella di sanzionare quei comportamenti diretti a evitare il pagamento dell'imposta dovuta attraverso l'indebito ricorso al meccanismo della compensazione, istituto previsto in ambito tributario dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, secondo cui i contribuenti titolari di partita Iva eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.
L'intento perseguito dal legislatore del 2006 è stato, dunque, quello di sanzionare la condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, in particolare per l'inesistenza o la non spettanza del credito, dovendosi quindi incentrare la verifica giudiziaria non tanto sull'astratta regolarità formale della procedura compensativa, quanto piuttosto sulla tipologia degli strumenti adoperati in concreto dal contribuente per sottrarsi ai pagamenti dovuti (Cfr. Cassazione, Sez. III, 09/01/2020, n. 18459).
In altri termini, afferma la Suprema Corte nel citato pronunciamento, che «l'essenza della condotta contestata è il ricorso a un istituto applicato nonostante l'assenza di un valido titolo di credito opponibile in compensazione, dovendosi sottolineare che la stessa denominazione del reato suggerisce di ritenere che la compensazione è "indebita" proprio qualora, per come messa in atto, si riveli estranea al modello legale dell'istituto delineato dalla legislazione tributaria e in particolare venga attuata attraverso una distorta rappresentazione della realtà inerente la tipologia dei crediti rivendicati (inesistenti o nonspettanti); per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell'operazione realizzata, con particolare riferimento alla circostanza dell'utilizzo, in compensazione, di titoli di credito connotati nei termini immediatamente prima evidenziati.
Consegue, per quanto detto, che nessun rilievo assume nel caso concreto la circostanza della riferibilità dei vari "crediti", inesistenti, a periodi di imposta diversi da quello del 2017 cui afferisce il debito falsamente "compensato"».
Ciò perchè l'ipotesi disciplinata dall'art. 10 quater associa al disvalore di evento (omesso versamento di somme dovute) uno specifico disvalore di azione, consistente nell'abusiva utilizzazione dell'istituto della compensazione di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997 siccome incentrata sul dato sostanziale ed essenziale della rivendicazione infondata di crediti (perchè inesistenti o non spettanti), venendo in rilievo un meccanismo che implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento, chiamato ad effettuare, tramite la compilazione del modello, l'operazione di calcolo del dovuto (Cfr. in tal senso Sez. 3, Sentenza n. 48017 del 2019, Bonetti, non massimata). Del resto, esplicativo è anche il riferimento nella norma alla condotta di "indebita" compensazione, che evidenzia come il disvalore del fatto non si incentri su una "frode" e dunque su una idoneità all'inganno della condotta criminosa quanto piuttosto e, ancor prima, sull'utilizzo strumentale e non consentito, e quindi "indebito", dell'istituto citato.
Alla luce delle superiori coordinate interpretative, è possibile concludere che per la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 10 quater, D.Lgs. n. 74 del 2000, è richiesto il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà, da parte del contribuente, di sottrarsi ai versamenti dovuti attraverso una abusiva utilizzazione dell'istituto della compensazione di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997.
L'art. 10 quater è stato in parte riscritto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 9, essendo la fattispecie attualmente strutturata in questi termini:
- È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro;
- È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.
Prima di passare ad esaminare il tema dell'elemento soggetivo del reato in argomento, occore, al fine di favorire una migliore comprensione, premettere qualche cenno sulla ratio della norma.
La ratio della norma è quella di sanzionare quei comportamenti diretti a evitare il pagamento dell'imposta dovuta attraverso l'indebito ricorso al meccanismo della compensazione, istituto previsto in ambito tributario dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, secondo cui i contribuenti titolari di partita Iva eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.
L'intento perseguito dal legislatore del 2006 è stato, dunque, quello di sanzionare la condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, in particolare per l'inesistenza o la non spettanza del credito, dovendosi quindi incentrare la verifica giudiziaria non tanto sull'astratta regolarità formale della procedura compensativa, quanto piuttosto sulla tipologia degli strumenti adoperati in concreto dal contribuente per sottrarsi ai pagamenti dovuti (Cfr. Cassazione, Sez. III, 09/01/2020, n. 18459).
In altri termini, afferma la Suprema Corte nel citato pronunciamento, che «l'essenza della condotta contestata è il ricorso a un istituto applicato nonostante l'assenza di un valido titolo di credito opponibile in compensazione, dovendosi sottolineare che la stessa denominazione del reato suggerisce di ritenere che la compensazione è "indebita" proprio qualora, per come messa in atto, si riveli estranea al modello legale dell'istituto delineato dalla legislazione tributaria e in particolare venga attuata attraverso una distorta rappresentazione della realtà inerente la tipologia dei crediti rivendicati (inesistenti o nonspettanti); per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell'operazione realizzata, con particolare riferimento alla circostanza dell'utilizzo, in compensazione, di titoli di credito connotati nei termini immediatamente prima evidenziati.
Consegue, per quanto detto, che nessun rilievo assume nel caso concreto la circostanza della riferibilità dei vari "crediti", inesistenti, a periodi di imposta diversi da quello del 2017 cui afferisce il debito falsamente "compensato"».
Ciò perchè l'ipotesi disciplinata dall'art. 10 quater associa al disvalore di evento (omesso versamento di somme dovute) uno specifico disvalore di azione, consistente nell'abusiva utilizzazione dell'istituto della compensazione di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997 siccome incentrata sul dato sostanziale ed essenziale della rivendicazione infondata di crediti (perchè inesistenti o non spettanti), venendo in rilievo un meccanismo che implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento, chiamato ad effettuare, tramite la compilazione del modello, l'operazione di calcolo del dovuto (Cfr. in tal senso Sez. 3, Sentenza n. 48017 del 2019, Bonetti, non massimata). Del resto, esplicativo è anche il riferimento nella norma alla condotta di "indebita" compensazione, che evidenzia come il disvalore del fatto non si incentri su una "frode" e dunque su una idoneità all'inganno della condotta criminosa quanto piuttosto e, ancor prima, sull'utilizzo strumentale e non consentito, e quindi "indebito", dell'istituto citato.
Alla luce delle superiori coordinate interpretative, è possibile concludere che per la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 10 quater, D.Lgs. n. 74 del 2000, è richiesto il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà, da parte del contribuente, di sottrarsi ai versamenti dovuti attraverso una abusiva utilizzazione dell'istituto della compensazione di cui al D.Lgs. n. 241 del 1997.