Il sequestro è il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria o la polizia giudiziaria impongono un divieto giuridico ed eventualmente un impedimento fisico al compimento di atti di disposizione rispettivamente giuridica e materiale sulle cose che, per una qualche ragione, sono necessarie al processo penale (SCAPARONE, Procedura, I, 373). In altri termini, è un vincolo posto dal magistrato alla libera disponibilità di cose pertinenti al reato (LOZZI, Lezioni, 281). Secondo NAPPI, Guida, 304, può essere definita sequestro qualsiasi misura coercitiva destinata a imporre su una cosa mobile o immobile un vincolo di disponibilità almeno materiale.
Ma ciò che qualifica la misura come giudiziaria è la finalità del vincolo di indisponibilità che ne consegue.
In relazione ai diversi scopi che possono essere alla base del provvedimento si distinguono, in ambito penale, tre tipi di sequestri: probatorio, preventivo e conservativo.
La prima forma di sequestro rientra tra i mezzi di ricerca della prova, mentre le altre due ipotesi di sequestro rientrano tra le misure cautelari reali.
Il sequestro probatorio
Il sequestro probatorio consiste nell’assicurare una cosa mobile od immobile al procedimento per finalità probatorie, mediante lo spossessamento coattivo e la creazione di un vincolo di indisponibilità sulla medesima. Tale vincolo di indisponibilità serve per conservare immutate le caratteristiche della cosa, al fine dell’accertamento dei fatti (Tonini, Manuale, 373).Il richiamo alla finalità di accertamento dei fatti mira – come sottolinea la Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale – ad una «decisa caratterizzazione in senso processuale dell’istituto» escludendo che «il sequestro penale possa servire per fini diversi da quelli probatori».
La finalità dell’istituto, sotto altro aspetto, impone un vincolo anche alla stessa autorità giudiziaria: secondo Cass., sez. III, 6 ottobre 2010, n. 40073/10, C.E.D. Cass., n. 248620, è illegittimo il provvedimento emesso dal Pubblico Ministero che, nel convalidare il sequestro probatorio del corpo del reato eseguito d’iniziativa dalla polizia giudiziaria, ne disponga contestualmente la distruzione, in quanto l’eliminazione della fonte probatoria è incompatibile con il suo sequestro penale perché necessaria per l’accertamento dei fatti. In motivazione, la Corte – in una fattispecie nella quale il P.M. aveva convalidato il sequestro di prodotti ittici congelati per il reato di frode in commercio, ordinandone contestualmente la distruzione perché deperibili – ha precisato come non fosse censurabile la distruzione del prodotto, possibile ai sensi dell’art. 260, comma 3, c.p.p., ma la sua contestualità con il decreto di convalida.
Mette conto evidenziare, inoltre, che la funzione del sequestro probatorio determina anche la durata del vincolo, limitata al tempo strettamente necessario per l’espletamento dell’accertamento in vista del quale è stato disposto, trattandosi di misura coercitiva che incide sia sul diritto di proprietà che sulla libertà di iniziativa economica (Cass., sez. III, 13 giugno 2007, n. 32277/07; in dottrina, CHIUCCHIU, Durata del sequestro probatorio e motivazione, in Giur. it. 2007, 454; MENDOZA, Questioni relative alla durata del sequestro a fini di prova e alla coesistenza tra diversi tipi di sequestro, in Cass. pen. 1997, 823).
Ne discende, quale corollario logico, che, esaurite le esigenze probatorie, il bene in sequestro deve essere restituito all’avente diritto.
Secondo la lettera dell’art. 253 c.p.p., oggetto del sequestro probatorio sono il corpo del reato e le cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti.
Il secondo comma dell’art. 253 c.p.p. individua il corpo del reato nelle cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso e nelle cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
In termini generali, Cass. sez. VI, 21 maggio 1992, n. 1794/92 Beitin, C.E.D. Cass., n. 190695, ha affermato che nella nozione di corpo di reato sono ricomprese tutte quelle cose sulle quali o mediante le quali fu commesso il reato o che dello stesso costituiscono l’effetto immediato o che, comunque, possano essere utilizzate per la prova del medesimo (nel caso di specie, in un procedimento per violazione della disciplina sulle sostanze stupefacenti, è stata affermata la legittimità del sequestro di una banconota, di cui era stato annotato il numero di serie, utilizzata per l’acquisto simulato della droga, e di un’autovettura di cui l’indagato si era servito per un più agevole trasporto della droga).
Le cose sulle quali il reato è stato commesso costituiscono l’oggetto materiale del reato, mentre le cose mediante le quali il reato è stato commesso costituiscono il mezzo.
La locuzione «cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato», poi, ricomprende sia le cose acquisite direttamente con il reato e da questo create, sia qualunque vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, tratto dal reato, sia i beni valutabili economicamente dati o promessi al colpevole per la consumazione del reato (TRIGGIANI, in SPANGHER, Trattato, II, t. I, 440, che richiama Cass., sez. II, 19 novembre 1990, n. 6331/90 Di Rocco, Cass. pen. 1991, II, 876).
Pe quanto attiene la definizione delle «cose pertinenti al reato», secondo l’insegnamento fornito dalla Suprema Corte, esse consistono in tutte quelle che sono in rapporto indiretto con la fattispecie criminosa concreta e risultano strumentali all’accertamento dei fatti, ovvero quelle necessarie alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all’identificazione del colpevole, all’accertamento del movente ed alla determinazione dell’ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, pur se esterne all’iter criminis, purché funzionali all’accertamento del fatto ed all’individuazione dell’autore (Cass., sez. IV, 17 novembre 2010, n. 2622/11). Dunque, sono cose pertinenti al reato tutte quelle che, anche senza essere in rapporto qualificato con il fatto illecito, presentino capacità dimostrativa dello stesso (Cass., sez. III, 22 aprile 2009, n. 22058/09, C.E.D. Cass., n. 243721).
Mette conto evidenziare che, in tema di cose pertinenti al reato, per procedere al sequestro non è sufficiente un rapporto di mera occasionalità tra la cosa e la commissione dell’illecito, ma è necessario un obiettivo rapporto di attinenza e proporzionalità (Cass., sez. IV, 21 giugno 1996, n. 1598/96, Ricci, in tema di sequestro dell’autovettura utilizzata per trasportare sostanze stupefacenti).
Presupposto imprescindibile per procedere al sequestro penale in parola è che sia già configurabile un’ipotesi di reato. In altri termini, occorre la presenza di fondati motivi che il bene costituisca corpo del reato o cosa pertinente al reato, non essendo sufficiente una soggettiva opinione, né un semplice sospetto.
È possibile disporre un sequestro in assenza di una valida denuncia?
A questa domanda la giurisprudenza di legittimità ha fornito risposta affermativa, sulla base del rilievo che la denuncia, o qualunque altra condizione di procedibilità, può sempre sopravvenire ed in tale lasso temporale è pur sempre necessario assicurare le fonti di prova (Cfr., Cass., sez. V, 22 gennaio 2001, n. 7278/01, Guadimonte, Cass. pen. 2002, 2168).Un discorso a parte merita la denuncia anonima che, in base alle previsioni contenute negli artt. 240 e 333, comma 3, c.p.p., non costituisce notizia di reato.
In questo caso, non è possibile procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l’esistenza di indizi di reità. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l’attività di iniziativa del P.M. e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione di una notitia criminis (Cfr., Cass. sez. VI, 21 settembre 2006, n. 36003/06, Cass. pen. 2007, 2946).
Soggetti legittimati a disporre il sequestro probatorio e iter procedimentale
Il codice individua i soggetti legittimati a disporre il sequestro probatorio con la locuzione «autorità giudiziaria», comprensiva del P.m. e del giudice.
Dunque, a seconda della fase procedimentale o processuale in cui l’iniziativa si inserisce, competente funzionalmente a disporre il sequestro probatorio potrà essere:
- Il P.m. nella fase delle indagini preliminari
- Il giudice dell’udienza preliminare (ai sensi degli artt. 421 bis e 422 c.p.p.)
- Il giudice del dibattimento (ai sensi dell’art. 507 c.p.p.)
- Il giudice dell’appello (secondo le previsioni dell’art. 603 c.p.p.)
Particolare percorso procedimentale, poi, è quello che si instaura nell’ipotesi di sequestro effettuato d'iniziativa della polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 354 c.p.p.
Quest’ultima può eseguire, in caso di urgenza, sequestri probatori che devono essere, poi, convalidati dal pubblico ministero. Pertanto, quello della polizia giudiziaria è un potere connotato dall’urgenza, che trova la sua ratio nell’esigenza di conservare le tracce e le cose pertinenti al reato e, se del caso, di sequestrare il corpo del reato e le cose a questo pertinenti, allorché non sia possibile un tempestivo intervento del P.m o questi non abbia ancora assunto la direzione delle indagini.
Presupposto del sequestro probatorio ex art. 354 c.p.p. è la commissione di un reato, sia pure accertato in forma incidentale nella sua astratta configurabilità e non la mera intenzione di commetterlo. È quindi illegittimo il sequestro probatorio disposto ne convalidato prima che il reato sia stato commesso, sul mero presupposto che l’agente avesse intenzione di commetterlo (Così G. LATTANZI, E. LUPO, Codice di procedura penale: rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Volume V, (a cura di) G. ANDREAZZA – S. PALLA, Giuffrè, 2013, p. 345).
Nel caso in cui abbia proceduto a sequestro, la polizia giudiziaria trasmette il verbale, non oltre le quarantotto ore, al pubblico ministero il quale, nelle quarantotto ore successive, se ne ricorrono i presupposti, lo convalida con decreto motivato.
In caso contrario, il P.m. dispone la restituzione delle cose sequestrate all’avente diritto.
Il decreto di sequestro penale ex art. 253 c.p.p. e il decreto di convalida del sequestro effettuato d’iniziativa della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 354 c.p.p. sono soggetti a impugnazione, nella forma del riesame.
Il sequestro preventivo
Il sequestro preventivo è disciplinato tra le misure cautelari, all’interno del Libro IV del Codice di Procedura Penale.Presupposto del sequestro preventivo, come del sequestro probatorio, è la commissione di un reato. La differenza tra le due tipologie di sequestro risiede nella funzione.
Mentre, come abbiamo visto, il sequestro probatorio è connotato da una finalità di accertamento dei fatti, il sequestro preventivo è una misura di coercizione reale per esigenze di prevenzione, peraltro connessa e strumentale allo svolgimento del procedimento penale e all’accertamento del reato per cui si procede, nel senso che è suo scopo quello di evitare che il trascorrere del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l’effettività della giurisdizione espressa con la sentenza di condanna (Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2003, De Luca).
L’art. 321 c.p.p., infatti, prevede che il sequestro preventivo può essere disposto per impedire l’aggravamento del reato o il protrarsi delle sue conseguenze ovvero la commissione di altri reati e stabilisce inoltre che l’oggetto del sequestro possono essere solo le cose pertinenti al reato.
Trattandosi di una misura cautelare, condizioni per l’adozione del sequestro preventivo sono il fumus boni iuris ed il periculum in mora.
Il primo requisito indica la probabilità che il provvedimento finale che si vuole cautelare venga effettivamente adottato; il giudice, richiesto dell’emissione di un decreto di sequestro preventivo deve, quindi, svolgere un indispensabile ruolo di garanzia, valutando le concrete risultanze processuali, le quali devono essere tali da far ritenere che il fatto attribuito all’indagato o all’imputato rientri nella fattispecie criminosa oggetto di accusa.
In giurisprudenza si è affermato, infatti, che il giudice non deve addentrarsi in questioni proprie del giudizio di cognizione (non deve, cioè, fare un processo nel processo).
L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto, quindi, sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica (Cass., Sez. Un., 20 novembre 1996, Bassi).
Per periculm in mora, invece, si intende la elevata probabilità di un danno futuro, e deve presentare i requisiti della concretezza e dell’attualità.
L’oggetto del sequestro preventivo
Quanto all’oggetto del sequestro preventivo, esso può riguardare anche beni che siano nella disponibilità di terzi non indagati; e ciò in quanto, diversamente opinando, sarebbe precluso il soddisfacimento delle esigenze di prevenzione che impongono l’adozione della misura tutte le volte che un bene, nella libera disponibilità di chicchessia e quindi anche di persona non indagata, sia suscettibile di costituire lo strumento per aggravare o protrarre le conseguenze del reato (Cass., 27 febbraio 1997, Cinque, C.E.D. Cass., n. 2084463).Qualsiasi bene, a prescindere da chi ne abbia la titolarità, può essere oggetto di sequestro preventivo purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato nella libera disponibilità, idoneo a costituire un pericolo.
La giurisprudenza ha affermato che per «cose pertinenti al reato», sulle quali può cadere il sequestro preventivo, debbono intendersi non solo quelle caratterizzate da un’intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso ed a quelli futuri con cui si paventa la commissione, ma anche quelle che, come specificato nella Relazione al progetto preliminare c.p.p., risultino indirettamente legate al reato per cui si procede, sempre che la libera disponibilità di esse possa dar luogo al pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze di detto reato ovvero all’agevolazione alla commissione di altri (Cass., 3 aprile 1998, Matera, Cass. Pen. 1999, 1867).
La strumentalità del bene alla condotta criminosa o del pericolo di protrazione della stessa derivante dalla libera disponibilità del bene sottoposto a sequestro è uno dei canoni di valutazione della pertinenza.
Atteso, però, che la strumentalità è astrattamente configurabile in un numero indefinito di casi, per stabilire se la disponibilità della cosa costituisce effettivo pericolo, il giudice deve accertare che l’individuata relazione non sia meramente occasionale, ma abbia i caratteri della specificità, della stabilità ed indissolubilità (Così, G. LATTANZI, E. LUPO, Codice di procedura penale: rassegna di giurisprudenza e di dottrina. Volume IV: misure cautelari, (a cura di) L. LUDOVICI, Giuffrè, 2013, p. 1648.).
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca
Il sequestro preventivo funzionale alla confisca, ex art. 321, comma 2, c.p.p., costituisce figura autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato al comma 1, e la sua particolarità consiste nel fatto che per l’applicabilità non occorre necessariamente la sussistenza dei presupposti di applicabilità previsti dal comma 1 (pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati), ma basta il presupposto della confiscabilità.È sufficiente, quindi, l’esistenza di un nesso strumentale tra il bene e la perpetrazione del reato, dovendo il giudice, in ogni caso, dare ragione del potere discrezionale di cui abbia ritenuto di avvalersi.
In altri termini, i beni confiscabili sono in quanto tali suscettibili di sequestro con l’unica differenza che, laddove si versi in caso di confisca facoltativa, sul giudice graverà uno specifico onere motivazionale.
Sul punto, si segnala la recentissima ordinanza con la quale, l’8 marzo 2021, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione concernente l’obbligo di motivazione, da parte del giudice, del provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca “facoltativa”.
Il sequestro per equivalente
Da non confondere con il sequestro preventivo finalizzato alla confisca è il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, che è diretto all'apprensione di beni che non abbiano alcun collegamento cin il reato.I presupposti per l'applicazione del sequestro di beni preordinato alla confisca per equivalente sono:
- la riconducibilità del reato per il quale si procede nel campo di azione della confisca per equivalente
- il mancato rinvenimento nella sfera giuridico-patrimoniale del responsabile di beni costituenti il corpo o il profitto del reato
Scopo di questa particolare forma di sequestro penale è quello di privare il reo di un qualunque beneficio sul versante economico, e costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, viene ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio, configurandosi come uno strumento strategico di politica criminale, inteso a contrastare fenomeni sistematici di criminalità economica ed organizzata (Cass., sez. VI, 18 giugno 2007, n. 30543/07, C.E.D. Cass., n. 237101).
La confisca per equivalente trova la sua fonte normativa in diverse disposizioni del codice penale, segnatamente:
- è prevista dall'art. 644, comma 6, c.p., così come modificato dalla l. 7 marzo 1996, n. 108, secondo cui nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei delitti di cui al suddetto art. 644, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo di pari valore degli interesso o degli altri vantaggi o compensi usurari;
- è prevista dall'art. 322-ter c.p. in relazione alle condanne per uno dei delitti previsti dagli artt. da 314 a 320 c.p.(reati contro la pubblica amministrazione);
- è prevista dall'art. 600-septies c.p. per i reati di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies e 607 septies c.p.;
- è prevista dall'art. 640 quater per i delitti disciplinati dagli artt. 640, comma 2, n. 1, 640 bis e 640 quater c.p.
L’iter procedimentale del sequestro preventivo e suo riesame
La misura cautelare del sequestro preventivo può essere disposta esclusivamente dal giudice che procede su richiesta del P.m.Giudice competente a disporre il sequestro preventivo è, nella fase delle indagini, il G.i.p.; successivamente all’esercizio dell’azione penale, segnatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio e il ricevimento degli atti, è competente il giudice del merito (il Tribunale).
La competenza a disporre il sequestro preventivo, dopo la pronuncia della sentenza di condanna da parte del Tribunale, spetta allo stesso Tribunale e non al G.i.p., atteso che l’art. 321, comma 1, c.p.p., stabilisce che quest’ultimo provvede soltanto prima dell’esercizio dell’azione penale, mentre negli altri casi è competente il giudice della cognizione (Cass., 10 luglio 2001, Bragagni, C.E.D. Cass., n. 219657).
Un caso particolare è quello che riguarda il sequestro preventivo operato dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria.
Al riguardo, l’art. 321, comma 3 bis, c.p.p., stabilisce che «nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell'intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l'emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria».
La norma citata, dunque, prevede la richiesta da parte del P.m. al G.i.p. di due distinti provvedimenti: la convalida della misura adottata in via d’urgenza dallo stesso P.m. e l’emissione del decreto motivato di sequestro.
I due provvedimenti restano distinti, pertanto è possibile che il G.i.p. neghi la convalida non ravvisando le ragioni di urgenza che giustificano l’iniziativa del P.m. e, tuttavia, ravvisandone i presupposti, disponga la misura del sequestro preventivo, che avrà efficacia a partire da quel momento (Cass., 8 luglio 1991, Rossi, Cass. Pen. 1993, 398; Riv. pen. 1992, 696).
Il sequestro preventivo può essere revocato in qualsiasi momento, quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità.
Contro il decreto di sequestro emesso dal giudice l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre specifica impugnazione avanti il Tribunale per il Riesame.
Il sequestro conservativo
Ai sensi dell’art. 316 c.p.p., attraverso il sequestro conservativo si vincolano i beni mobili ed immobili dell’imputato, nonché le somme a lui dovute, al fine di impedire che al termine del processo non vengano soddisfatti i crediti scaturenti dalla sentenza di condanna, e segnatamente:- Il pagamento della pena pecuniaria (art. 660 c.p.p.);
- Le spese del procedimento (artt. 535, 592 c.p.p.);
- Ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato;
- Le obbligazioni civili derivanti dal reato (artt. 185 c.p.)
L’adozione del sequestro conservativo, così come l’adozione di qualunque misura cautelare, è subordinata alla presenza di due presupposti: il fumus e il periculum.
Quanto al primo aspetto, stante l’identicità, si rinvia a quanto si è avuto modo in precedenza di evidenziare con riferimento al sequestro preventivo.
Il periculum richiesto dall’art. 316 c.p.p. con riferimento al sequestro conservativo, invece, si sostanzia nel pericolo del mancato adempimento dei crediti nascenti dal reato e può essere desunto sia dalla volontà dell’imputato di dispersione dei propri beni sia «dalla insufficienza del patrimonio rispetto all’ammontare delle ragioni creditorie da reato e sulla inadeguatezza dello stesso a garantire l’integrale soddisfacimento della massa creditoria» (AMODIO, Le cautele patrimoniali, Giuffrè, 1971, 149).
Oggetto del sequestro conservativo possono essere sia beni mobili sia beni immobili.
La condizione perché il sequestro penale in argomento possa essere disposto è data tuttavia dalla circostanza che si tratti di beni suscettibili di pignoramento (art. 316, comma 1, c.p.p.), essendo previsto che il sequestro si converta in pignoramento ai fini dell’esecuzione (art. 320, comma 1, c.p.p.).
Il denaro può pertanto essere oggetto di sequestro conservativo solo nei limiti in cui la legge ne permetta il pignoramento (Cass., 28 novembre 1990, Robbiati, Cass. Pen. Mass. ann. 1990, 2, 35).
Peculiarità del sequestro conservativo – che lo differenzia dagli altri tipi di sequestro oggetto della presente disamina – è che può essere ordinato dal giudice che procede soltanto nella fase del processo di merito e non anche nelle indagini preliminari.
Contro l’ordinanza di sequestro conservativo chiunque via abbia interesse può proporre richiesta di riesame.
Avverso il provvedimento del giudice che non attenga all’imposizione o alla modifica del vincolo cautelare, ma solo alle modalità esecutive ed attuative del vincolo stesso, può essere esperito ricorso per cassazione ex art. 666, comma 6, c.p.p.