Violenza sessuale: art. 609 bis codice penale
La norma di cui all'art. 609 bis c.p. mira a garantire la tutela della persona e, più precisamente, la sua libertà di autodeterminazione sessuale. Si tratta del risultato più importante ottenuto dalla Legge 15 febbraio 1996, n. 66 in materia di reati sessuali, ha innovato profondamente la materia dei delitti contro la libertà sessuale.
La nuova collocazione sistematica dell'art. 609 bis tra i delitti contro la persona costituisce, infatti, un significativo mutamento di prospettiva nell'affrontare la delicata materia che, prima, era trattata nel titolo relativo ai delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume.
L'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale
L'elemento materiale descritto nella norma di cui all'art. 609 bis c.p. consiste nel costringere taluno a compiere o a subire atti sessuali.
La condotta di tale delitto si caratterizza, in primo luogo, per il fatto di individuare l'attività, oggetto della costrizione o induzione, mediante l'epressione cumulativa di «atti sessuali» che, di fatto, elimina qualsiasi differenziazione tra la «congiunzione carnale» e gli «atti di libidine» contenuti nella disciplina antecedente la riforma del 1996.
Quanto alla nozione e alla portata dell'epressione «atti sessuali», la prima giurisprudenza successiva all'entrata in vigore della nuova disciplina ha tentato di fare fronte al problema "recuperando" concetti e criteri valutativi propri delle decisioni adottate sotto la vigenza della normativa abrogata.
Pertanto, è stato testualmente sostenuto e ribadito (Cass., Sez. III, 28 settembre 1999, Carnevali) che la nozione di «atti sessuali» nascerebbe dalla semplice somma delle due nozioni di congiunzione carnale e di atti di libidine - che la legislazione previgente considerava e disciplinava separatamente - con il risultato che l'epressione «atti sessuali» non può non comportare (così come la comportavano le due distinte nozioni preesistenti) un coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa (sulla scorta di tale presupposto la Suprema Corte ha escluso la riconducibilità, alla norma in esame, di tutti quegli atti, i quali, pur essendo espressivi di concupiscenza sessuale, siano però inidonei - come nel caso dell'esibizionismo, dell'autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad assistervi o del «voyerismo» -, ad intaccare la sfera della sessualità fisica della vittima, comportando essi soltanto offesa alla libertà morale di quest'ultima o al sentimento pubblico del pudore).
Con il trascorrere del tempo, tuttavia, la Corte di Cassazione, pu rimanendo fedele alle iniziali enunciazioni secondo cui la nozione di atti sessuali deve essere considerata la risultante della somma dei due concetti di congiunzione carnale e di atti di libidine (Cass., sez. III, 13 febbraio 2003, n. 12862), ha via via, registrato orientamenti più ampliativi arrivando ad affermare che la condotta vietata dall'art. 609 bis ricomprende qualsiasi atto anche se non esplicitato attraverso il contatto fisico diretto con il soggetto passivo, che sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà dell'individuo attraverso l'eccitazione o il soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'agente; si è, infatti, ritenuto che il riferimento al sesso non deve limitarsi alle zone genitali ma include anche quelle che, per scienza medica, psicologica ed antropologica, sono considerate eogene, ovvero tali da stimolare l'istinto sessuale (Cass., sez. III, 21 gennaio 2000, Alessandrini).
Su tale scia, è stato affermato che la condotta vietata dall'art. 609 bis c.p. ricomprende (oltre ad ogni forma di congiunzione carnale) qualsiasi atto che - risolvendosi in un contatto corporeo, ancorchè fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest'ultimo - sia idoneo e finalizzato a porne in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale (Cass., sez. III, 11 luglio 2007, n. 35625).
Pertanto, con il trascorrere del tempo, l'evoluzione della giurisprudenza sull'argomento, pur evidenziando sempre il richiamo alla «corporeità», si è, progressivamente, arricchita con l'affermazione che, per aversi atto sessuale, si deve trattare di qualsiasi atto che si risolva in un contatto corporeo (ancorché fugace ed estemporaneo), tra soggetto attivo e soggetto passivo (o che, comunque, coinvolga la corporeità sessuale di quest'ultimo), che sia tale da suscitare la cncupiscenza sessuale (anche in modo non completo e per un tempo di breve durata) e che sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell'agente e l'eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale.
La giurisprudenza ha nel tempo elaborato una casistica piuttosto ampia delle condotte che integrano l'atto sessuale, tale da rcicomprendere al suo interno:
- le c.d. molestie sessuali, ovvero il toccamento non casuale di una parte del corpo non considerata come zona erogena, ma comunque suscettibile di eccitare la concupiscenza sessuale;
- il bacio, salvo che l'atto risulti privo di valenza erotica in ragione del particolare contesto sociale, culturale o familiare come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto (Cass., sez. III, 13 febbraio 2007, n. 25112)
La violenza sessuale per costrizione
Per l'integrazione dell'elemento oggettivo, il legislatore ha previsto due condotte alternative attraverso le quali compiere gli atti sessuali:
- La costrizione
- L'induzione
A propria volta, la costrizione può essere relaizzata in tre modi diversi:
- con violenza
- con minaccia
- mediante abuso di autorità
Autorevoli commentatori hanno osservato che ciascuna delle condotte che, sotto il profilo oggettivo, assumono rilievo (violenza, minaccia o l'abuso di autorità) deve essere tale da poter concretamente coartare la volontà della persona offesa. Non potrà, pertanto, ritenersi sussistente una violenza o minaccia che non si esteriorizzi con serietà e gravità come una spinta, un buffetto, un pizzicotto, ovvero una minaccia inidonea ad ingenerare timore nella persona offesa (es. minaccia di non riaccompagnare a casa perpetrata in un centro cittadino). Peraltro, la violenza o minaccia devono essere tali da coartare semplicemente la volontà della vittima non necessariamente eliderla (A. CADOPPI, Commento all'art. 609 bis, in Commentario delle norme contro la violenza sessuale, coordinato da A. Cadoppi, Cedam, 2006).
In giurisprudenza si è affermato che non è necessario che il dissenso della vittima si manifesti per tutto il periodo di esecuzione del delitto, essendo sufficiente che si estrinsechi all'inizio della condotta antigiuridica. Conseguentemente, gli imputati non possono invocare a loro giustificazione di aver agito in presenza di un consenso dell'avente diritto, tacito o presunto, sul presupposto che la tempestiva reazione della vittima si era manifestata solo nel momento iniziale (Cass., sez. III, 21 gennaio 2000, Scotti).
Ed ancora, valorizzando il c.d. dissenso in itinere, si è affermato che integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o della modalità di consumazione del rapporto. Ciò in quanto il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità (Cass., sez. III, 24 febbraio 2004, n. 25727).
Quanto alla costrizione mediante abuso di autorità, è necessario che l'agente si trovi in una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, sostanzialmente dipendente dall'affidamento del soggetto passivo in ragione del pubblico ufficio ricoperto dall'agente stesso.
In particolare, un'autorevole decisione (Cass., S.U., 31 maggio 2000, Bove), ha precisato che l'abuso di autorità di cui all'art. 609 bis, comma 1, presuppone nell'agente una posizione autoritativa solo di tipo formale e pubblicistico.
La violenza sessuale per induzione
Nella norma in esame, le ipotesi di violenza sessuale per induzione sono circoscritte a due casi, e cioè l'abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica del soggetto passivo e l'inganno.
A proposito della induzione, mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica del soggetto passivo, è affermazione consolidata in giurisprudenza quella secondo cui la tutela della condizione di inferiorità psichica prescinde da uno stato patologico di carattere organico o funzionale, ma è prevista come una specifica causa di invalidazione del consenso all'atto sessuale, che non si ricollega necessariamente a deficienze psichiche costituzionali o a debilitazioni transitorie, che importino particolare studio del soggetto, ma può dipendere anche da situazioni ambientali o fattori traumatici, la cui intensità e capacità di incidere sui poteri di resistenza all'altrui voglia, può essere valutata direttamente dal giudice senza necessità di analisi tecnico-scientifiche nenache di carattere psicologico (Cass., sez. III, 15 febbraio 1991, Ciullo).
Per dare vita a una condotta di induzione abusiva - è stato precisato - non sono sufficienti attività di pressione morale o di persuasione, volte ad ottenere il consenso della persona offesa, ma occorre un concreto approfittamento delle menomate condizioni fisiche o psichiche del soggetto passivo (Cass., sez. III, 4 novembre 1998, Albano). Si richiede, cioè, un quid pluris rispetto alla mera persuasione valendo ogni forma di sopraffazione e di strumentalizzazione della condizione soggettiva della vittima (Cass., sez. III, 9 maggio 2007, n. 33761).
Altra decisione ha ribadito che l'induzione si realizza quando, con un'opera di persuasione sottile o subdola, l'agente spinge o convince il partner a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto; l'abuso, a sua volta, si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui (Cass., sez. IV, 22 febbraio 2007, n. 14141).
Il giudice, pertanto, dovrà verificare, caso per caso, se l'agente abbia avuto la consapevolezza non soltanto della minorate condizioni del soggetto passivo ma anche di abusarne per fini sessuali.
Quanto alla fattispecie di induzione mediante inganno, la previsione fa riferimento al caso, tradizionalmente discusso in dottrina, in cui il soggetto agente, attraverso l'impiego di mezzi fraudolenti, si sostituisca alla persona in relazione alla quale, soltanto, la vittima avrebbe prestato il consenso all'atto sessuale (esempio, chi, avvalendosi dell'oscurità, approfitti di una donna sostituendosi al di lei marito) (Così G. LATTANZI, E. LUPO, Codice di procedura penale: rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Volume XI, (a cura di) G. MULLIRI, Giuffrè, 2013, p. 1118).
L'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale
Il delitto di violenze sessuali è punito a titolo di dolo generico. Sotto il profilo psichico, è dunque, sufficiente la volontà del fatto con la coscienza di tutti gli elementi essenziali che lo costituiscono. La finalità dell'agente e l'eventuale soddisfacimento dei suoi desideri non assumono un rilievo decisivo ai fini del perfezionamento del reato sì che gli atti sessuali, previsti dall'art. 609 bis c.p., devono ritenersi integrati allorché la condotta illecita offenda in modo diretto e univoco la libertà sessuale della vittima (Cass., sez. III, 10 marzo 2000, Rinaldi) anche se gli atti sessuali siano stati compiuti, ad esempio, ioci causa o con finalità di irrisione della vittima (Cass., sez. III, 4 marzo 2009, n. 20927).
In tema di aggressione sessuale in danno di persona che si trovi in stato in inferiorità psichica o fisica, è dovere del giudice espletare una indagine adeguata per verificare se l'agente abbia avuto la consapevolezza, non soltanto, delle minorate condizioni del soggetto passivo ma anche di abusarne per fini sessuali (Cass., sez. IV, 22 febbraio 2007, n. 14141).
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